Educare alle emozioni.
Le mie esperienze, vissute da persona ipersensibile, possono sembrare poco a confronto delle tragedie di chi ha conosciuto la guerra e le conseguenze che ne derivano o chi ha un vissuto molto pesante. Il mio libro “Come l’orchidea nel cemento” è nato proprio per questo, per unire, perché una educazione alle emozioni nelle scuole può aiutare a comprendere le esperienze di tutti e le differenze di ognuno, senza giudizio. In questo percorso non può, però, mancare un coinvolgimento dei media. Siamo abituati a una televisione del dolore che sfrutta “casi umani” senza aiutarli dal punto di vista psicologico né, tantomeno, educare i giovani fruitori di questi contenuti. Ci sono tante storie che, magari, non sembrano tragedie, ma che hanno dignità e bisogno di essere raccontate per aiutare chi soffre a non sentirsi sbagliato. Le emozioni non sono una debolezza ed è giusto che i nostri ragazzi riescano ad accettare anche cadute e fallimenti senza senso di colpa, ma trovando la forza di superarli. Unire, non dividere e far riflettere. Ecco quello che dovrebbero fare, secondo me, i mezzi di comunicazione e i social in questo mondo iperconnesso. È necessario un rispetto reciproco delle persone e delle rispettive storie affinché si trovino punti in comune invece di creare divisioni. Comprensione, empatia e rispetto avvicinano gli esseri umani. Dovrebbe essere l’emozione il vero centro di gravità del nostro mondo, non la competizione. Comprendere gli altri aiuta a capire che ogni battaglia, dalla più piccola alla più grande, va rispettata.