Gli occhi parlano in silenzio. A volte è un silenzio assordante. Gli occhi dei bambini che stanno lottando contro una grave malattia ti bucano l’anima. Con la loro paura mista alla gioia di chi sa godere delle piccole cose. Un giardino, uno scivolo di plastica, un gioco elettronico che Sergiu mi descrive e ci capiamo anche se lui, insieme alla sua mamma, viene da molto lontano e non parla la mia stessa lingua.
Mi trovo all’Associazione Andrea Tudisco di Roma dove bimbi e famiglie possono sentirsi a casa propria e restare, nella loro stanzetta colorata, senza dover sostare in ospedale. Mi ha accolto Ambro, in arte “Tric Trac”, che ho conosciuto attraverso le parole di Fabio ed è proprio come me l’ha descritto, infatti mi pare di conoscerlo un po’.
Ambro ha gli occhi che brillano, gesticola un sacco come me, entriamo subito in sintonia. Perché il dottor “Tric Trac” ha ciò che molti adulti perdono per strada: sa donarsi agli altri senza maschere (eccetto un naso rosso), con il suo entusiasmo travolgente. Ambro è una persona che non può lasciarti indifferente, che ti fa sentire subito a Casa. E Casa per me è Famiglia.
Mentre parliamo ci raggiunge Alex. Da piccolo ha avuto una brutta malattia. Brutta di quelle che non sai come finirà. Ambro lo riconosce e lo abbraccia. Adesso Alex è adolescente. Viene dalla Sicilia, con la sua mamma, per dei controlli che fortunatamente sono andati bene. E io un po’ mi emoziono. Mi emoziono per quell’abbraccio, tra un clown e un bambino che può crescere, che potrà diventare un uomo, innamorarsi, baciare, studiare, viaggiare, scegliere. Vivere.
Tra i ragazzi del centro c’è anche Deyner. Oggi compie 18 anni e stasera si festeggia. Gli manca il Venezuela perché da tanti anni vive lontano dai suoi fratelli, qui, in una bella stanzetta, con la sua mamma, Graziela, una signora molto gentile che mi ha subito offerto un succo di frutta.
E poi c’è Klesti, un ragazzone alto che viene dall’Albania, è qua con il papà.
Durante l’intervista i piccoli ospiti del centro arrivano uno alla volta e si mettono dietro il mio cavalletto. E sorridono. E leggo, per un attimo, la spensieratezza nei loro occhi.
Per loro sono una novità. Io, il mio cavalletto, quella telecamera. Mi sorridono da dietro, come se fosse uno spettacolo teatrale. E io rido, rido con loro. Ridiamo e scacciamo la morte che ha portato via persone dolci e buone, come Fabrizio Frizzi che ha sempre aiutato l’Associazione, altre piccole anime innocenti e anche il creatore di questa meravigliosa realtà, Nicola.
Nicola ha fondato l’Associazione “Andrea Tudisco” Onlus il 17 ottobre 1997, insieme alla moglie Fiorella, dopo aver perso il piccolo figlio Andrea a causa di una leucemia linfoblastica.
Andrea fu ricoverato in ospedale per un lungo periodo e chiese a Fiorella di ospitare la mamma del bimbo accanto al suo letto: erano venuti da lontano e la donna da mesi dormiva su una sedia a sdraio.
Fiorella la fece lavare e la ospitò a casa propria. Da quel giorno la porta dell’abitazione di Fiorella e Nicola rimase aperta per i genitori dei piccoli ricoverati.
“Perdere Nicola è stata molto dura. E anche Fabrizio”, mi racconta Ambro che è un punto di riferimento in associazione e dona un sorriso a tutti, nonostante i suoi occhi tradiscano, per un attimo, la sofferenza della dipartita di quei suoi cari amici.
Ambro sa ridere di se stesso e fare un’intervista standard è impossibile, ma non ne ho mai fatte finora e sono contenta così. Non tagliamo niente perché a me piace che questi del blog siano momenti di Verità, non perfezione.
L’umanità delle persone mi ha sempre, profondamente colpita. Ci sono individui che usano talmente tante maschere che finiscono per perdere se stessi e poi c’è questa casa, in cui ogni ruga, ogni volto, ogni dettaglio trasuda normalità nonostante le enormi difficoltà e il dolore dei genitori che devono affrontare la malattia dei propri figli.
E io mi sento a casa e sono grata perché posso vedere il mondo con altri occhi, quelli di questi bambini che guardano me perché sono una novità.
Ed è così bello vederli aprire il pacchetto di libri che ho portato loro, come se fosse una cosa speciale.
Per avvicinarti agli altri devi togliere tutto, ogni sovrastruttura, ogni maschera. Devi essere nudo, con le tue imperfezioni e le tue paure. Questo ho imparato. Ho imparato che non siamo supereroi e dire “ho paura” non ti rende più fragile, ma fortifica.
Ho imparato che per ricevere devi dare tanto, devi dare tutto. E che è il dare stesso che ti rende viva, più del ricevere.
E mi sento viva. Io, adesso, qui. Le storie ti arrivano quando sei pronta a raccontarle, a viverle.
Non sei tu a sceglierle, sono loro che scelgono te.